La vocazione della Chiesa, qual’è?

Papa Francesco a colloquio con i gesuiti di Malta parla della Chiesa e del futuro della Chiesa.

Santo Padre, la realtà della Chiesa di oggi sta cambiando. Diventa sempre più piccola in una Europa secolare e materialista. Nello stesso tempo la Chiesa si sviluppa però in Asia e Africa. Come sarà la Chiesa del futuro? Sarà più ristretta, ma più umile e autentica? E il cammino sinodale della Chiesa? Dove sta andando?

Papa Benedetto è stato un profeta di questa Chiesa del futuro, una Chiesa che diventerà più piccola, che perderà molti privilegi, sarà più umile e autentica e troverà energia per l’essenziale. Sarà una Chiesa più spirituale, più povera e meno politica: una Chiesa dei piccoli. Benedetto da vescovo lo aveva detto: prepariamoci a essere una Chiesa più piccola. Questa è una delle sue intuizioni più ricche.

Oggi c’è il problema delle vocazioni, sì. È anche vero che in Europa ci sono meno persone giovani. Prima si avevano tre, quattro figli a famiglia. Adesso spesso solamente uno. I matrimoni calano, mentre si pensa a crescere nella professione. Direi alle mamme di questi trentacinquenni che vivono nella famiglia di origine di non stirare più le camicie! In questa situazione c’è anche il rischio di voler cercare le vocazioni senza adeguato discernimento.

Ricordo che nel 1994 si fece un Sinodo sulla vita consacrata. Io ero venuto come delegato dell’Argentina. Allora era scoppiato lo scandalo delle novizie nelle Filippine: le Congregazioni religiose andavano lì alla ricerca di vocazioni da «importare» in Europa. Questo è terribile. L’Europa è invecchiata. Dobbiamo abituarci a questo, ma dobbiamo farlo creativamente, in modo da assumere per le vocazioni le qualità che lei citava in generale per la Chiesa nella sua domanda: umiltà, servizio, autenticità.

Poi lei ha anche menzionato il cammino sinodale. E questo è un passo ulteriore. Stiamo imparando a parlare e scrivere «in Sinodo». Fu Paolo VI a riprendere il discorso sinodale, che era andato perduto. Da allora siamo andati avanti nella comprensione, nel capire che cosa sia il Sinodo. Ricordo che nel 2001 sono stato relatore per il Sinodo dei vescovi. In realtà il relatore era il cardinale Egan, ma, a causa della tragedia delle Torri gemelle, è dovuto tornare a New York, la sua diocesi. Io ho fatto il supplente. Si raccoglievano le opinioni di tutti, anche dei singoli gruppi, e si inviavano alla Segreteria generale. Io raccoglievo il materiale e lo sistemavo. Il segretario del Sinodo lo esaminava e diceva di togliere questa o quella cosa che era stata approvata con votazione dei vari gruppi. C’erano cose che non riteneva opportune. C’era, insomma, una preselezione dei materiali. Chiaramente non si era capito che cos’è un Sinodo.

Oggi siamo andati avanti e non si torna indietro. Alla fine dell’ultimo Sinodo, nel sondaggio sui temi da affrontare nel successivo, i primi due sono stati il sacerdozio e la sinodalità. Mi è parso chiaro che si volesse riflettere sulla teologia della sinodalità per fare un passo decisivo verso una Chiesa sinodale.

Infine, voglio dire che non dobbiamo dimenticare quel gioiello che è l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI. La vocazione della Chiesa qual è? Non sono i numeri. È evangelizzare. La gioia della Chiesa è evangelizzare. Il vero problema non è se siamo pochi, insomma, ma se la Chiesa evangelizza. Nelle riunioni prima del Conclave si parlava del ritratto del nuovo Papa. È stato proprio lì, nelle Congregazioni generali, che è stata usata l’immagine della Chiesa che esce, in uscita. Nell’Apocalisse si dice: «Io sto alla porta e busso». Ma oggi il Signore bussa da dentro perché lo si lasci uscire. Questa è la necessità di oggi, la vocazione della Chiesa oggi.